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TEATRO ROMANO DI OSTIA ANTICA
Martedì 4 agosto – ore 20.30
Pietro LONGHI e Felice DELLA CORTE
ADELPHOE (I FRATELLI) di TERENZIO
regia, Silvio GIORDANI
Nuovo appuntamento con il teatro classico ad Ostia Antica. Il 4 agosto nello splendido scenario degli scavi archeologici che fanno da cornice al Teatro Romano, va infatti in scena “Adelphoe” (I fratelli), di Terenzio. Ne sono protagonisti Felice Della Corte (direttore artistico del teatro Nino Manfredi) e Pietro Longhi con la regia di Silvio Giordani.
“Aspettando la luna” è il titolo di questa straordinaria rassegna della quale è direttore artistico Pietro Longhi. Una rassegna che conferma da qualche anno la bontà di un progetto con il quale si è voluto riportare il teatro classico nella location più ideale, quella appunto di Ostia Antica. Un impegno che sta dando soddisfazioni vista la nutrita presenza di pubblico.
Adelphoe (I fratelli) rappresentata per la prima volta nel 160 a.C., fa parte della carriera drammaturgica di Terenzio, carriera che non fu certo facile come quella di Plauto, forse perché nella sua opera non troviamo l'esuberanza, le acrobazie verbali, i giochi di parole del sarsinate.
La vicenda è quella di Démea, un uomo all'antica, che ha due figli, Eschino e Ctesifone, il primo lo fa adottare dal fratello Micione, il secondo lo educa egli stesso. Micione è un uomo di mentalità aperta e liberale, ed educa il figlio adottivo con un metodo basato sulla reciproca fiducia e liberalità; Demea, invece, educa il proprio con il metodo tradizionale, basato sui principi del mos maiorum, il costume degli antenati, e sull'esercizio della patri potestas, l'autorità paterna. Eschino rapisce da una casa una citarista, Bacchide, perché di lei si è innamorato il fratello, che per terrore del padre non ha mai osato nulla per realizzare la sua storia d'amore. Eschino, però, non è libero, infatti precedentemente aveva violato una giovane, Panfila, che adesso aveva partorito e della quale era innamorato. Panfila, temendo che Eschino la abbandoni, rivendica i propri diritti e manda Egione a lamentarsi con Micione. Intanto, Demea scopre la relazione del figlio con la citarista e sfoga la sua rabbia contro il fratello, accusandolo di avergli rovinato e corrotto i figli. Infine, Demea decide di cambiare e di diventare liberale, poiché ritiene che in questo modo sia più facile guadagnarsi il rispetto e la simpatia dei figli. La commedia si conclude con il matrimonio di Eschino e Panfila e con l'acquisto di Bacchide da parte di Ctesifone.
Terenzio, usa uno stile ed un linguaggio sobrio, naturale, all'insegna della compostezza e della semplicità evitando espressioni popolari e volgari in omaggio forse all'esigenza di equilibrio e di raffinatezza che egli mutuava dal sofisticato circolo scipionico di cui faceva parte. Nel Teatro “naturalistico” di Terenzio troviamo una suspance nuova. Lo spettatore è coinvolto emotivamente nelle vicende, prova le stesse emozioni dei personaggi e l'autore non consente procedimenti “metateatrali” cioè non vuole che venga mai interrotta l'illusione scenica e al contrario di Plauto che tendeva solo a divertire, cerca di trasmettere un messaggio morale. Nasce, insomma un'attenzione sociale che allora era una vera e propria rivoluzione culturale con dentro un messaggio di HUMANITAS. “…homo sum, humani nihil a me alienum puto…” (sono un uomo e niente di ciò che è umano considero a me estraneo…) Aprirsi agli altri, rinunciare all'egoismo, comprendere i propri limiti ed essere indulgente nei confronti degli errori degli altri: in una parola essere tolleranti e solidali.
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