Il protagonista dell’opera seconda di Edoardo Gabriellini, in concorso al 65° Festival di Locarno, risponderà alle domande del pubblico.
Il rapporto che lega Valerio Mastandrea ai frequentatori del Nuovo Cinema Aquila dura fin dall’apertura, se è vero che alcune recenti e notevoli pellicole dell’attore romano hanno ottenuto da noi notevole gradimento. L’occasione di incontrarlo, grazie al particolarissimo film di Edoardo Gabriellini, è quindi doppiamente proficua e si spera getti le basi per un rapporto ancora ricco di sorprese. Il ‘non-thriller’ dell’attore-regista livornese rappresenta per Mastandrea l’ennesima sfida, e non solo perchè è coautore dello script o per l’occasione di affiancare un sempre più bravo Elio germano e un luciferino e inedito Gianni Morandi. Scopriamo perché dalla viva voce di questo autore così anomalo ed appartato: Mi piace pensare a “Padroni di casa” come a un romanzo breve. Un film che ti conduce in un luogo e non ti abbandona più sino alla fine. Ho privilegiato una costruzione realistica, desideravo ambientare il film in un paesaggio italiano cercando un linguaggio contemporaneo, non citazionistico. Abbiamo girato nell’Appennino tosco-emiliano. Mi piaceva la scommessa di un non-luogo che in realtà ne contenesse tanti. La provincia m’interessava come dato antropologico piuttosto che come informazione sociologica. Questo film vuole rappresentare uno sguardo sulla violenza. Quale fragilità insostenibile nasconde la violenza? “Padroni di casa” è un film paesaggio, un film senza cattivi, dove il campo d’osservazione è soffocato da una amoralità che genera la diffidenza e manovra la paura alla quale ci st! iamo educando e nella quale ci stiamo chiudendo. I personaggi sono goffi e brutali, in continuo equilibrio nel tentativo di sopravvivere ascoltando o prevalendo l’uno sull’altro. La mia ambizione era di realizzare un film che fosse in grado di conservare le innumerevoli sfumature della complessità del reale. Anche nel rapporto tra Elio Germano e Valerio Mastandrea, strutturato a ruoli invertiti, dove il fratello più piccolo è tutore del più grande, volevo che fosse sempre presente una certa leggerezza che lasciasse le cose in sospeso piuttosto che virare tutto al nero, stilizzando al massimo i contrasti.
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