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Le interviste di EventiRoma.com: Franco Recanatesi |
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Le interviste di EventiRoma.com: Franco Recanatesi
Franco Recanatesi preferisce raccontare gli altri più che me stesso. Come nel suo ultimo libro“Io sono Giorgio Chinaglia! I gol, gli amori e i peccati di una vita esagerata” (edito da L’Airone).
C’è qualcosa che la scrittura le ha fatto capire di se stesso?
Sì, che amo la scrittura al di sopra di ogni altra attività. Scrivere placa la mia inquietudine, mi distende, mi fa sentire concreto, mi impedisce di utilizzare male il mio tempo.
Come giudica la sua scrittura?
Questo è un compito che non mi compete, lo lascio agli altri.
Quanto è importante la passione nel suo mestiere?
E’ essenziale. Se non hai passione, riuscire a fare il giornalista (lo scrittore è una seconda fase) è quasi impossibile perché i primi anni sono fatti di sacrifici, delusioni, frustrazioni, scarsi o nulli guadagni. Era così ai miei tempi, ora la situazione è ancora peggiorata. Ma vale la pena spezzarsi la schiena e l’anima, una volta giunti all’approdo ti accorgi che questo è il mestiere più bello del mondo.
Scrivere è un gesto di grande intimità, con se stessi…lei è d’accordo?
Lo disse un grande letterato, ma io non sono totalmente d’accordo. Sarà che io preferisco raccontare gli altri più che me stesso. E liberare la fantasia.
In quale modo è stata coinvolto nella realizzazione del libro “Io sono Giorgio Chinaglia! I gol, gli amori e i peccati di una vita esagerata” (edito da L’Airone)?
Sono stato coinvolto totalmente, perché conoscevo personalmente Chinaglia e sua moglie Connie fin dagli anni 70. Le ricerche che ho fatto per scrivere questo libro mi hanno poi messo in contatto con il figlio George, con il quale ho trovato un immediato feeling. I contatti con la famiglia Chinaglia (la prima, la seconda famiglia si è sottratta ad ogni mia richiesta) e l’approfondimento della sua vita attraverso testi, testimonianze di amici e soprattutto dei compagni di squadra dello scudetto con la Lazio del 1974 hanno fatto sì che mi immergessi totalmente nella storia per quattro-cinque mesi.
Com’è nato il titolo?
Da una frase che Giorgio era solito pronunciare nei momenti difficili e che ne tratteggia come nient’altro il carattere, la forza, certamente anche un pizzico di superbia, comunque la sua natura. In quel “io sono Giorgio Chinaglia” c’era il riscatto dalla povertà, la voglia di vincere, l’orgoglio di avercela fatta.
Una storia, per colpire l’emotività, cosa deve contenere?
Vita vissuta, la descrizione non solo degli eventi ma anche dei sentimenti dei protagonisti. Le loro debolezze, le loro fragilità, specie se appartengono agli “eroi” della storia, fanno entrare i personaggi nel cuore del lettore. Naturalmente la prima condizione è che la storia deve avere dei contenuti tali da tenere sempre desta l’attenzione.
C’è una morale nel suo ultimo libro?
Non c’è e non ho mai voluto che ci fosse. La morale non deve darla lo scrittore, ma il lettore.
In questo momento cosa deve dimostrare ancora a se stesso?
Di saper scrivere non solo storie realmente accadute, ma una storia di fantasia.
Oggi le cose belle nella vita sono le certezze o i cambiamenti?
I cambiamenti, sempre. Ogni vita nasconde dietro l’angolo un assassino: la monotonia.
Che cosa desidera per il suo futuro?
Ciò che in Italia non esiste: la pace sociale, la giustizia, la buona educazione, la difesa dei deboli. Il mio sogno è vivere tra persone che sorridono. Un sogno… (Tommaso Gandino)
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